Sono un’anima ambiziosa, sì, ma con una complicata urgenza interiore: che nella competizione nessuno sia perdente. Vorrei che ogni competizione contenesse lo spazio per l’eccellenza di tutte le parti coinvolte, che nessuna sfida contemplasse l’umiliazione del perdente. Perdente è già una terribile parola, che nel tentativo di semplificare un concetto toglie ogni spiegazione, riduce lo spazio per le varianti dell’eccellenza. Io non voglilo essere migliore di te, e nemmeno voglio banalmente essere migliore dell’Evans di ieri. Voglio solo eccellere, ma è possibile un’eccellenza senza gerarchie? Il dizionario mi dice che “eccellere” significa essere superiore a tutti gli altri. Ma esiste un’eccellenza che non includa una classifica? È possibile fare bene senza sentirsi migliori, avvicinarsi a un obiettivo senza confrontarlo con la distanza percorsa da altri? Di fronte a questo insolvibile tormento continuo a spingermi oltre le mie conoscenze e verso il limite dei miei talenti, incurante dei e al tempo stesso ammirando i talenti altrui, fonte di ispirazione, di idee, di stimoli.